Se la vita fosse un platform a 16 bit degli anni '80, questa sensazione di sentirsi soli in mezzo alle persone sarebbe quel livello maledetto pieno di burroni nascosti e piattaforme che crollano. Ti muovi, schivi, salti, eppure non importa quanti pixel affollano lo schermo: il vuoto rimane.
Sai di cosa parlo? Certo che lo sai. È quel momento in cui la tua espressione è sprite perfetto, ma sotto il cappello di Mario ti senti più Tails: sempre dietro, sempre un po' inutile. E poi arriva la domanda. Quella che non manca mai:
"Come va? Tutto bene?"
Oh, fantastico. Un altro NPC che ripete il suo script. Cosa dovrei rispondere? No? Devo premere il pulsante start e lanciarmi in un monologo su tutti i motivi per cui odio questa vita? No, perché pare che nel grande gioco sociale la sincerità sia il peggior glitch: se la usi, sei maleducato.
Allora ecco che parte la combo obbligatoria: sorrido (o meglio, premo il tasto per l'animazione fissa del personaggio) e rispondo: "Tutto bene, grazie 🙂."
Ma attenzione, non chiederò mai "e tu?" perché, metti caso che rispondi di no, mi tocca pure consolarti. E io non sono equipaggiato per questo livello bonus. Non ho monete d'oro per motivarti, né stelle d'invincibilità contro il tuo dramma. Sono già in difficoltà col mio, grazie.
Conclusione: Il boss finale siamo noi
Alla fine, la vita sociale è come quei livelli di Sonic in cui corri a mille all'ora, raccogli anelli e fingi di sapere dove stai andando, ma sotto sotto speri solo di non cadere in un burrone. Ecco, "Tutto bene, grazie 🙂" è quel momento in cui scivoli via sul filo del rasoio, evitando di attivare i tuoi demoni (e quelli altrui).
Prossima volta che mi chiedi "come va?", ti avviso: risponderò "game over". Almeno sarà sincero.