Quando Topolino incontra Gambadilegno: la saga dell’esclusione e della Melevisione

Avete presente Topolino, il simpatico eroe disneyano che affronta tutto con il sorriso? Bene, ora immaginatelo con lo sguardo perso di uno che ha appena perso l’ennesima partita a Monopoli contro Paperone. 

Quello ero io, ma al posto di gestire proprietà immobiliari, gestivo traslochi. Nord, sud, nord, sud: i miei genitori sembravano indecisi tra lo stile architettonico alpino e quello mediterraneo. Una vera “Disneyland dei traslochi” in cui io, ovviamente, non avevo diritto al fast pass.

Arrivato in ogni nuova città, il mio compito era sempre lo stesso: fare amicizia. Che poi, negli anni ’90, significava uscire di casa e sperare che qualcuno non ti chiudesse il cancello in faccia. La TV offriva poco: qualche replica di Baywatch o Bim Bum Bam. E i social? Ah, i social erano quei dieci minuti in cui tua madre ti aggiornava sui cugini che non volevi conoscere.

Al nord? “Sei del sud, vero? Lo vedo dal colore della pelle.” – come se fossi appena sceso da una nave pirata del Mediterraneo. Al sud? “Non parli il dialetto? Allora sei del nord!” – detto con l’entusiasmo con cui Gambadilegno scopre che Topolino gli ha sabotato l’ennesimo piano. Insomma, un reietto ovunque. Mancava solo che qualcuno mi consegnasse una tessera di espulsione ufficiale con tanto di timbro.

Un giorno, col coraggio di Paperino che affronta una giornata normale, vedo un gruppo di bambini giocare a nascondino. Decido di tentare. “Posso giocare con voi?” domando con quel sorriso disperato da Pippo che spera in una risposta positiva. “No.” Secco, definitivo, tipo Zio Paperone che nega un prestito.

Ma io insisto. “Sono bravo a contare! Vi do persino un vantaggio di 20 secondi!” – che poi, a pensarci, offrire vantaggi era la versione infantile di darsi uno sconto per sembrare più appetibili. Alla fine cedono. Felice, inizio a contare, convinto di aver trovato il mio posto nel mondo. Lentamente, con tutta la dedizione di Archimede Pitagorico che testa una nuova invenzione. “98… 99… 100! Sto arrivando!”

Spoiler: non stavo arrivando da nessuna parte. Il gioco, a quanto pare, era nascondino ma con le regole di Chi l’ha visto?. Nessuno in vista. E poi, il colpo di scena: il cancello della casa di uno di loro, chiuso da entrambi i lati. Dall’interno sento il rimbalzare di un pallone e le loro voci. Mi avevano tagliato fuori. Un piano di esclusione degno del miglior Macchia Nera.

Rientro a casa con la stessa energia con cui Pippo affronta una giornata no. Accendo la TV. Su Rai 3 c’è Melevisione. Ora, capitemi, il nome già mi dava i brividi: a me le mele facevano schifo (maledette quelle rosse farinose). Però la disperazione è un potente motivatore. Decido di dare una chance. “Conto fino a 100,” penso, “e se non mi piace, cambio canale.”

E invece sono rimasto. Perché? Perché quando vieni escluso da nascondino e tradito da un cancello, anche un programma che si chiama Melevisione diventa una degna compagnia. E sapete una cosa? Quelle mele immaginarie mi hanno dato più soddisfazione di quei bambini con il cancello chiuso.