Se la mia vita fosse un platform anni '90, il mio trasferimento al Sud sarebbe stato l’equivalente di passare da Super Mario Bros a un livello segreto disegnato dal diavolo. Saltare baratri era routine, ma qui dovevo schivare bidelle analfabete, compagni ostili e calci durante l’intervallo. Ma iniziamo dall’inizio.
Dopo quattro anni tranquilli di elementari in Emilia, negli anni '90, mio padre decide di premere il pulsante warp zone e accettare un lavoro al Sud. Non vi dirò la città, ma vi lascio un indizio: la bidella scriveva "scuola" con la "q". Esatto, "scuola" diventava "squola". Già lì, capite il mood del livello.
Livello 1: La merenda rubata
Prima settimana, primo trauma: mi rubano la merenda. Nemmeno Bowser avrebbe osato tanto. Mentre io mi aggiravo per i bagni cercando di capire le regole di questo nuovo mondo, qualcuno decide che la mia merenda è un power-up che gli serve più di me. Game over, nessuna possibilità di combattere l'omertà.
Livello 2: Lo "straniero" e il talento letale per le frazioni
Non bastava essere "il nuovo". No, ero "lo straniero". E come ogni straniero che si rispetti, dovevo affrontare la sfida finale: distinguermi involontariamente. Cosa poteva mai attirare così tanta attenzione su di me? Le frazioni. Sì, avete capito bene. Non una stella d’invincibilità, ma le maledette frazioni.
Il maestro di matematica, con la grazia di un Goomba impazzito, decide di farmi diventare il bersaglio del giorno: "Tu conosci già le frazioni? Allora dobbiamo accelerare tutti e metterci al pari. Finalmente qualcuno a cui la matematica entra in testa. Prendete tutti esempio, somari!"
Un applauso, signore e signori, il maestro ha appena premuto il pulsante self-destruct sulla mia reputazione sociale. Da quel momento, non ero più uno studente: ero il boss finale da battere.
Intervallo: la mia personalissima boss fight
L’intervallo, che doveva essere un momento di pausa, si trasformò in un’arena. Al posto di tartarughe o piante carnivore, c’erano i miei compagni di classe, che evidentemente non apprezzavano l’essere chiamati "somari". Ogni calcio che prendevo era come perdere una vita. E credetemi, non c’erano né cuori né funghi per ripristinarla.
Conclusione: Grazie maestro!
Quindi, grazie maestro. Per le frazioni, per aver accelerato il programma e soprattutto per i lividi presi nei corridoi. È stata un’esperienza formativa, certo, ma più che insegnarmi la matematica, mi ha insegnato una lezione più profonda: non diventare mai, mai, mai il secchione in un livello nuovo.